Sant’iddio

Dunque, a parte che non so perché abbiano cambiato l’interfaccia di wordpress.

Dobbiamo analizzare nel dettaglio l’annoso problema dello storaggio dei piumoni durante il periodo estivo. “Ad Agosto?” direte voi.

Ad Agosto, rispondo io. Perché fino a due settimane fa stavo talmente poco a casa che sopra il letto c’erano due piumoni. Ripiegati.

DUNQUE. Nel monoloculo ci sono due piumoni e una trapunta.

Il piumone numero 1 è stato ereditato. Il fu piumone apparteneva a un letto a una piazza e 1/2 – dunque posso arrotolarmici dentro per 2 volte. tipo il pollo dentro il McWrap. Ripiegato occupa una superficie pari a 1,5 mq: praticamente mi riempie la cucina. Perde piume in maniera ormai irreversibile, quindi sembra sembra che in casa sia appena terminato il terzo round di una lotta di galli. O meglio di oche.

Il piumone numero 2 è nuovo e proviene dall’Ikea. Per questo motivo, è in grado di generare la stessa quantità di calore sprigionata da un pozzo di petrolio in fiamme. Occupa meno spazio del primo, per cui riesco a infilarlo nella dispensa. Esatto, tra lo scolapasta e le tovaglie (che non uso).

La trapunta. È quella con la foto di Londra stampata sopra. L’avevo regalata a Giorgia, ma sarà riciclata come terzo strato di morbidezza da ottobre in poi. È talmente gonfia e rigida (tant’è nuova) che non può essere piegata, quindi l’unico utilizzo possibile da maggio in poi è come canadese. Tante volte mi venga voglia di campeggiare in … soggiorno … sapete com’è.

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Ritorno ritorno!

Dunque, non so da quant’è che non scrivo.

Torno a casa (quella vera) oggi dopo immemore tempo. Mesi, settimane. Nel frattempo sono passati due tour, è uscito un album, ho girato un videoclip per una cantante di liscio, sono successe innumerevoli cose e il monolocale è abitato solo da me.

Ora, non fatevi strane idee – nonostante i 44° C registrati 2 giorni fa (la padrona di casa continua imperterrita a chiedermi “ma fa GIA’ CALDO lassù?” No, tranquilla.) Giorgia non si è liquefatta. A dimostrazione del fatto che le leggende metropolitane riguardanti il music business sono vere, il nostro rapporto non ha sopportato il terzo tour in 3 anni.

C’è da capirla, come ci sarebbero da capire molto persone che proverebbero anche a starmi vicino se io non fossi sempre – irrimediabilmente – da un’altra parte.

Dunque il monoloculo nell’ultimo periodo è stato popolato da:

me, due chitarre, un pianoforte, due pacchi di CD (380 CD l’uno, se non sbaglio), poster vari ed eventuali, accordatori per chitarra, microfoni, cavi, due valigie mie, due buste contenenti resti del tour e svariati barattoli di miele, una maglia di T. (la cantante), calzini di T. e un tanga di T. (e non fatevi idee, facevo solo da lavanderia), un navigatore funzionante solo in germania, un frullatore, un set di Chakra Blend, niente di anche solo vagamente commestibile e il solito casino.

Vi lascio immaginare lo stato delle cose. Una discarica, praticamente.

Non so da dove iniziare, quindi iniziamo dalle cose semplici semplici e basilari.

Dopo aver realizzato che la sindrome da post tour non passerà prima del prossimo tour, ho rinunciato all’idea di poter fare colazione come le persone normali. Mi sveglio ormai come i pompieri al suono della sirena. Scatto, mi lancio dalla porta ancora in mutande e – solo quando sono ormai in strada – realizzo che ho saltato tutti quegli step indispensabili che mi trasformano da zombie a persona dotata di una qualche dignità. Per rendere compatibile le esigenze sociali con questa sindrome mi sono organizzata così: faccio la doccia ogni sera, poi mi spalmo di chakra blend fino alla morte e metto in frigo il mio contenitore con latte e una banana a pezzi. Quando mi sveglio, mi rimane comunque sufficiente razionalità per accendere il frullatore il tutto e godermi un frullatino meraviglioso. Resto a rischio amputazione falange, ma almeno so che non morirò di fame o per ustioni di terzo grado dovute al caffè.

Che ciò implichi anche tutta una serie di manovre sotto zero per mantenere intatte le banane per almeno due giorni, nonostante le temperature del monoloculo, è tutt’altro discorso.

Nell’ultimo giorno del tour (l’ultimo, quello di giugno, che è sfuggito ai più perché era un tour nelle radio) ho avuto l’immensa fortuna di avere una sera libera – e cenare con T. senza la solita ansia. Il discorso, dopo poco, è finito sul come si sono incasinate le nostre rispettive vite con la musica e – soprattutto – con il tour. Non tanto e non solo per motivi organizzativi, ma per la totale incapacità di comunicare e spiegare a chi non c’è dentro cosa significa. Come mi sento, come ci si sente e come e quanto fuori dal mondo si possa vivere anche per diverse settimane di seguito.

Tornare al mondo reale è difficile, ma ciò che è peggio è che poi – dentro la normalità – non ci si ritrova più. Non posso aspettarmi che altre persone sopportino tutto questo solo per “amore della causa” e forse non posso nemmeno aspettarmi che lo facciano per amore e basta.

O forse si, non lo so.

Quello che so è che io non ho scelta. La mia vita è un’irrimediabile e continua professione di fede, o di devozione totale, alla musica e a tutto ciò che la musica comporta.

Dopo cinque settimane di tour mi sono ritrovata in Svizzera. Arrivavo da non so bene quale nazione, ma ricordo che ero con la mia macchina. Il penultimo giorno, prima di tornare in Italia per la settimana conclusiva, ero completamente a pezzi. Avevo dormito poco e male per tutta la settimana, scrivendo articoli di notte dopo i concerti. La sera prima del giorno in questione era stata abbastanza terribile e totalmente insonne, a causa di una serie di problemi in hotel e con la psiche della mia compagna di viaggio. Avevo dormito vestita (cintura compresa), come tutta la settimana, con 8.000 franchi svizzeri nascosti tra mutande e calzini. La mattina mi ero svegliata presto per riuscire a farmi una doccia di fortuna (non avevo più shampoo e bagnoschiuma, persi chissà dove) nel bagno condiviso dell’hotel, fare colazione e uscire a lavare la macchina. Le ultime due operazioni si erano rivelate impossibili, lasciandomi a digiuno per il terzo pasto di fila e con una macchina lurida.

La metà prevista per quel giorno era Ginevra, dove avevamo due concerti: uno il pomeriggio alla FNAC e uno la sera in teatro. Del viaggio in macchina ricordo solo una discussione per un’emergenza pipì, mentre del concerto in FNAC ricordo qualche tensione, tantissima fatica per portare gli strumenti all’interno del centro commerciale, ma anche un buon pubblico. La sera era tutto esaurito, in un posto bellissimo ma anche piuttosto difficile da gestire dal punto di vista tecnico (e a causa del fonico completamente ubriaco). Avevo passato il concerto tra il backstage, per assistere T. negli spostamenti al buio, e la zona FOH dove tentavo di arginare i maldestri interventi del fonico sugli effetti. Insomma, un bel po’ di tensione.

A fine concerto lei era stremata, senza voce e con la febbre, motivo per cui avevamo deciso di saltare la cena e fiondarci in hotel in previsione della partenza del giorno dopo: partenza ore 9, per essere in grado di suonare alle 13 non ricordo dove.

Dopo aver caricato tutto in macchina eravamo partite, salvo scoprire ben presto che l’hotel era in una strada inaccessibile con la macchina e nella zona più malfamata della città. Vi ricordo anche gli 8.000 franchi nascosti nelle mutande. Scendo dalla macchina e scippano un ragazzo tre metri davanti a me.

Decido che è impossibile lasciare la macchina in giro, carica com’è. T. è d’accordo e, con santa pazienza, scarichiamo TUTTO. Una fatica immensa. Lascio la macchina su un marciapiede per accompagnare T. in camera, sistemare un paio di cose e tornare a trovare un parcheggio consono. Nel frattempo si sono fatte le 2.30. Alle 9 dobbiamo essere in macchina. Entriamo in camera, procaccio delle medicine e sistemo gli strumenti – almeno quelli e la cantante sono al sicuro. Le spiego che devo andare a cercare parcheggio, perché la macchina non è al sicuro. Esco, attraverso la città – entro in un parcheggio a pagamento. Lascio la macchina, corro (letteralmente) cercando un taxi prima che qualcuno mi scippi, mi violenti o chissà cose, e torno in hotel. Entro nella mia camera, quella subito vicina a T. Lei probabilmente mi sente arrivare, perché un secondo dopo mi arriva un sms “tutto bene?”. “Certo, sto solo morendo di fame”. Realizziamo che abbiamo necessariamente bisogno di mangiare, quindi scendo nella hall a procacciare qualcosa. In pochi minuti ci ritroviamo sedute sul letto, sfatte di stanchezza, a guardare un canale in tedesco e mangiare con le mani una brodaglia di pollo e gamberetti in salsa rosa.

Sono preoccupata, T. è visibilmente provata. Come me, del resto, ma – a differenza mia – il giorno dopo deve trovare voce e forza per cantare. E lo spirito giusto per stare sul palco. Le chiedo come sta, se posso fare qualcosa. Mi dice che sta bene ed è solo preoccupata perché deve cantare di mattina, e non ha tempo per riposare. Le chiedo se vuole annullare il concerto e mi dice di no, dice “posso cantare ogni volta che mi dici di farlo, è ok”. Si mette di nuovo a mangiare e rimaniamo in silenzio, come due imbecilli, a cercare di capire cosa dicono quelli in televisione.

Passano solo pochi secondi e realizzo che non c’è modo di spiegare al mondo perché siamo lì. Non c’è modo di spiegarlo in modo che abbia senso. Perché una persona di 28 anni, con tre lavori, e una di immenso talento che vive dall’altra parte del mondo – dove qualunque musicista vorrebbe andare a lavorare – si ritrovano consapevolmente alle 3.30 di notte in un hotel a Ginevra, a mangiare con le mani e sopraffatte dalla stanchezza. Tutto solo per suonare. Un tour di cui non rimarrà traccia nella storia.

Non so se mi faccio pena, non so quanto darei per poter dormire due giorni a casa – tante ore e nel mio letto – ma so che la possibilità di non essere lì in quel momento non è nemmeno un’opzione da valutare, per me.

Torno in camera alle 4 passate, faccio un bagno e nascondo i soldi in diversi punti inaccessibili. Spero che non ci sia un incendio o perderò la vita nel tentativo di arrampicarmi sull’armadio a recuperare una mazzetta. Tre ore dopo sono in piedi.

Vi lascio con una cover bellissima, da scaricare gratuitamente qui https://dl.dropbox.com/u/7435170/WIBG.mp3 (Wouldn’t It Be Good). Io mi sento un po’ così.

ps: I chakra blend comunque be li consiglio.

La tartarumba

La canzone ufficiale del monocacchio per il 2012 è la tartarumba.

Volevo fare questo annuncio, seguito da un secondo annuncio:

abbiamo collezionato 4 influenze in due settimane, un record olimpico. Tutta colpa del fatto che nel monoloculo si sta a -30°

appena uscita da una settimana di febbre, sono tornata a firenze, ho dormito due notti al gelo e ora ho mal di gola, raffreddore e sonno.

Stamattina ho cercato di svuotare il termosifone dall’aria ed è uscito l’inferno di ghiaccio.

Grey’s Anatomy

Io e Giorgia abbiamo questa specie di dipendenza da Grey’s Anatomy.

Io avevo seguito qualche puntata della prima serie, poi ho smesso di guardarlo perché veniva trasmesso ad orari improponibili. Nel frattempo la serie è andata avanti e Giorgia è diventata assatanata. Nel senso che è talmente presa dalla storia che se disgraziatamente perde una puntata nel bel mezzo della serie poi non ne guarda più. Aspetta di poter rivedere TUTTO in streaming, con una correttezza filologica da Accademia della Crusca.

Io invece vado a tratti, guardo puntate sparse e poi mi fisso su qualche evento particolare e finisco a riguardarmi tutto Grey’s Anatomy dalla prima puntata della prima serie. Tutte in una notte, skippando le scene che non mi interessano.

Dovete sapere che Grey’s Anatomy non è come ER: lo dico perché ormai una qualsiasi serie in cui c’è gente in camice è associata a disgrazie e cataclismi medici. In realtà il lato più interessante di Grey’s (da me rinominato L’anatomia di Graziella – si lo so che non è Graziella) è quello psicologico/sentimentale. Roba che per riprendersi da certe puntate ci mettiamo tre o quattro settimane, durante le quali ci aggiriamo per il mondo con gli occhi pesti e il cervello totalmente privo di connessione con gli eventi reali.

Quando si arriva a quel punto io decido che è ora della disintossicazione e smetto di guardare episodi, almeno fino a quando non mi capita per caso di vedere qualche altra puntata e mi trovo alle prese con il più grande dramma psicologico di sempre. Oppure con la storia d’amore del millennio. Vuoi non seguirlo fino alla fine? Ovviamente devo seguirlo, DEVO DEVO DEVO.

Comunque, ultimamente mi ero persa qualche puntata presa dalla disperazione per l’essere circa due stagioni avanti rispetto a Giorgia e non poterle dunque rivelare alcun dettaglio a costo della mia stessa vita. Non dico che non abbia rischiato di farlo, mi lanciavo in discorsi tipo “MA NON CI POSSO CREDEREEEEE SAAAAAIII CH….” e lei “NONMELODIRENONMELODIREEEE”.

E vabbe’.

È successo che ho dovuto cambiare l’abbonamento di Sky (dei miei, non da me ovviamente) e nel passaggio all’HD ho CASUALMENTE visto una puntata della settima serie.

UN DRAMMA. (GIORGIAPERCARITA’DIDIONONGUARDARE)

In effetti non avrei mai detto che sarei finita a guardare una serie TV in cui si cincischia di storie d’amore e simili. Ma forse sto invecchiando?

Finissi a guardare Dinasty fermatemi.

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Senza Titolo – Torino 2011

dicembre 1, 2011 2 commenti

Poetico cucinar

Mia madre se n’è uscita con uno dei suoi svarioni meravigliosi.

Non so se capiti in tutte le famiglie, ma ogni 2 o 3 mesi mio padre si mette ai fornelli. Quando cucina lui sembrano le grandi manovre. Ore, decenni di preparazione, manco dovesse venire a cena il critico di Ratatouille.

Poi, ovviamente, secondo lui è sempre tutto fuori posto. Il sale deve stare al posto del caffè, le pentole al posto delle scarpe, l’olio è a destra ma dovrebbe stare a sinistra comesifaacucinarecosìnonloso.

Poi, PRIMA di iniziare fa le pulizie di Pasqua. Perché tutto deve essere immacolato e tutto deve essere perfettamente funzionante. Mia madre sarebbe capace di cucinare un pranzo con un accendino e delle pigne, mio padre ha bisogno di almeno 3.000 euro di ingredienti e 12.000 euro di strumentazione per fare aglio, olio e peperoncino.

Comunque, ieri mio padre ha cucinato delle patate lesse terrificanti. Ci ha messo dentro la curcuma forse, comunque erano terribili. Come sempre succede, poi, le ha assaggiate e ci ha smaronato tutto il giorno vantandosi per quanto erano buone.

Per fare ste patate ha iniziato alle 10 di mattina, smontando – letteralmente – i fornelli.

Alle 13.30, dopo 3 ore e 30 di patate, arriva mia madre. Mio padre esordisce con “HO CUCINATO”.

Silenzio (e terrore).

“Poi prova ad accendere il gas!”

“Tanto poi lo vedo”

“NOOOO, lodeviprovare. Dammi sta soddisfazione!”

“Scricca” e il fornello si accende.

Normale, direte voi. No, dico io. Perché c’è questa strana maledizione per cui dei cinque fornelli non ce n’è mai uno che funzioni a dovere. Quello piccolo si accende solo con l’accendino, quello medio non sta mai acceso. Quello grande fa fuoco solo a metà. Quello enorme è troppo enorme.

Quindi. Mia madre arriva, “scricca con lo scricchino” e accende.

Si stupisce ed esulta “Meno male che hai pulito GLI AUGELLI, non sai che regalo mi hai fatto”

Parapiglia generale

Oggi sono a Perugia e così ho passato la mattinata da mia nonna, che si è presa una bronchite incredibile e non sta affatto bene.

Mia nonna vive con mia zia, nel pieno centro storico del paese in cui abito. Prima di partire per andare da lei sento squillare il telefono.

È mia zia.

“Mi compri le sigarette prima di salire? Grazie grazie ciao”

Penso che il tabacchi sotto casa sua è aperto, come tutti i giorni di ogni anno, e quindi posso comprarle lì senza problemi. Parto, arrivo, parcheggio, cammino verso il centro.

Entro in negozio e trovo la proprietaria, signora sulla 70ina mai distintasi per eccesso di intelligenza, che discute animatamente con altre due persone. La signora n. 2 va per i 75 come minimo, ha l’aria un po’ sciroccata ma se la cava. L’altro è un signore sui 70, il tipico truzzo che “io sono l’uomo voi cosa ne capite”.

La signora numero due si dispera:

“Mi controlla il lotto?? No perché da quando hanno messo quel coso…

Irrompe la proprietaria, detta Annina:

“EEEEEEEEEH NON SI VEDE MANCO IL TELEVIDEO! Ma poi io non so, ho L’UNO (leggi RaiUno) sul 28, IL DUE sul 70… se non mi viene il tecnico AD AGGIUSTARE

Io penso che se ha l’uno sul 28 e il due sul 70 forse ci vuole un matematico, magari un astrologo…. irrompe il truzzo

“Ma guardate che i canali non vengono tutti insieme. Io sono due giorni che sto lì e piano piano, piano piano arrivano. Ma non è che possono vedersi tutti”

Tre secondi di stupore (anche mio, cosa diavolo dice?)

L’Annina, con voce da circense affatto sobria: “Che poi se uno vuole vedere il telegiornale… non ho capito perché hanno dovuto cambiare tutto”

Signora numero due: “A me il tecnico è già venuto, ma mica ho risolto niente. Io vedo 100 canali… ma DAL QUATTRO.”

Annina, entra in scivolata, cartellino giallo: “MA L’UNO È SUL SETTANTA, per questo non lo trova. Non è sull’uno.”

Penso che volevo le sigarette, ma qui posso trovare al massimo dell’oppio. Per non interrompere la conversazione in malo modo, mi avvicino ancora di più al bancone per far notare la mia presenza. Praticamente ci sono sopra, ma l’Annina mi ignora.

Il truzzo: “Si vede che a lei non è arrivato l’uno, io ce li ho tutti in fila

In tutto questo, Giorgia era in attesa sul mio cellulare e si stava godendo la conversazione. Dato il tono di voce degli attori, credo avrebbe potuto ascoltare anche senza telefono.

Insomma, riesco a chiedere le sigarette ma l’Annina ci mette circa 46 minuti a farmi un resto a 50 Euro. Prima prende gli 80 centesimi che mancano per arrivare a 5 Euro, poi si blocca. Ha perso il conto.

Mostro la mano aperta, tipo “sono spicci, manca tutto il resto”.

Riparte, aggiunge 5 Euro. Poi ne mette 10.

Panico.

Riprende i dieci e mette due da 20. Ce l’abbiamo fatta.

Esco, rimetto il cellulare all’orecchio e Giorgia mi fa “MA CHI DIAVOLO ERAAA? UN MANICOMIO”.

Tento di spiegarle la situazione, ma faccio un passo e cado nel baratro della telefonia. Assenza totale di linea, tento di inviarle un sms con scritto “Salgo dalla nonna, ricordati che non prende il cellulare lì.. ci sentiamo dopo E NON PRENDERE FREDDO”

L’sms (scoprirò poi) non parte.

Salgo da mia zia, le passo le sigarette e mi risponde “SENTI MA TI DEVO CHIEDERE UNA COSA, se non ti disturbo”

“Ma che dici, dimmi dimmi”

“La nonna guarda sempre IL PRIMO, ma io IL PRIMO CE L’HO SUL 5002”

😀

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Huston abbiamo un problema

Non so se avete visto, ma hanno messo all’asta alcune checklist (con relativi appunti) dell’Apollo 13.

La notizia è su Repubblica.it, con il tipico taglio tra il gossip e il social totalmente inutile che ormai hanno le testate online. Molto più interessante (!) è questo . Un sito con la trascrizione completa delle conversazioni tra la base e Apollo 13.

Immagino che passerete il pomeriggio a leggerlo, soprattutto Giorgia, che è a letto con l’influenza.

In tutto ciò c’è un aspetto veramente stupefacente, cioè questo:

NASA - Two-thirds illuminated Earth showing the Pacific Ocean and North America

Come vedete dalla dida, si tratta della Terra fotografata dall’Apollo 13 e quindi nel 1970 (http://nssdc.gsfc.nasa.gov/imgcat/).

Non è stupenda?

 

—————

02 07 55 19
Fred Haise (LMP)
“Houston, we’ve had a problem.”: Okay, Houston —
02 07 55 20
Jack Swigert (CMP)
I believe we’ve had a problem here.
02 07 55 28
Jack Lousma (CAPCOM)
This is Houston. Say again, please.
02 07 55 35
Jim Lovell (CDR)
Houston, we’ve had a problem. We’ve had a MAIN B BUS UNDERVOLT.
02 07 55 42
Jack Lousma (CAPCOM)
Roger. MAIN B UNDERVOLT.

L’anello

novembre 24, 2011 1 commento

NB: Io spero vivamente di non offendere nessuno con questo post.

Secondo voi è un buon segno se Giorgia perde l’anello di fidanzamento?

Ora, sapete. C’è questo fatto che quando io nomino “Giorgia” e “fidanzamento” succedono cose strane:
– Lampo+tuono+cavallo (tipo “Frau Blücher”. Frankenstein Jr.)
– Mi arriva una secchiate di acqua santa gelida
– Qualcuno ha un mancamento
– Arriva Povia e mi canta “Luca era gaaay, ma adesso sta con leeei” per 48 ore di fila.

Questo si traduce, nella mia testa, in una chiara immagine di me all’inferno. Non so, a dire il vero io e Gio’ non ne abbiamo mai parlato, ma so che è lo stesso anche per lei. Il senso di colpa è una roba assurda, la sensazione che sotto sotto comunque si stia facendo qualcosa di sbagliato. Il peccato, la dannazione, l’inferno, la traGGedia. È così. (Ho bisogno di uno psicologo, mia madre ha ragione)

Nonostante questo, io ci tengo tantissimo ad avere dei punti di riferimento che diano sicurezza almeno a noi visto che la gente ha difficoltà anche solo a concepire la cosa. Sua madre, che sa benissimo che stiamo insieme, mi chiama “la tua amica”. Immaginate cosa non succeda con il resto del mondo. Io voglio che almeno noi sappiamo che questa è una cosa seria.
Nella declinazione più stupida, ci tengo tantissimo che entrambe portiamo lo stesso anello. Non come ora: tre mesi fa io ho perso il mio, quindi abbiamo dovuto ricomprarli. Ora lei non ritrova il suo, quindi mette quello vecchio.
In pratica, siamo fidanzate ma non tra di noi. (Gio’, se mi nascondi qualcosa è il momento di dirlo)

Mi viene il dubbio che i nostri genitori approfittano di qualsiasi distrazione e come vedono un anello in giro lo vendono (ricavandone 3 euro, visto che li compriamo a 10).

Quindi il problema è: quanto tempo deve passare prima di dichiarare ufficialmente lost anche questo anello e comprarne di nuovi? Perché adesso siamo nel limbo del “ma deve essere da qualche parte in casa, l’avevo tolto per lavare i piatti. Tra poco inizierò a fare pressing, perché il fatto che non abbiamo lo stesso anello mi dà un fastidio chimico.

Quando ho perso il mio ho passato due giornate a smontare casa (quella di Perugia, s’intende, non questa… sarebbe bastata mezz’ora), poi le ho rotto le scatole continuativamente finché non abbiamo comprato quelli nuovi.

E qui vorrei aprire una parentesi, perché la scena (anche la prima volta) è stata veramente comica. O tragica.
Si, perché non è socialmente accettabile che io e lei andiamo in una gioielleria e ci compriamo l’anello di fidanzamento. Proprio no.
La prima volta abbiamo dovuto fare due sessioni: prima io ho comprato il mio e il giorno dopo lei ha comprato il suo. Fidanzamento in due atti, la cosa più triste della storia, ma così nessuno si è fatto male. La seconda volta, fortunatamente, avevamo il suo anello reduce e siamo potute andare in gioielleria insieme.
Mi sono presentata e ho detto che cercavo due anelli uguali uno per me, mentre per l’altro ho la misura.

E lì già ti guardano tipo: “Prego? Sarebbero anelli di fidanzamento??”
Sguardo di risposta: “Sa, sono una 13enne frufru che guarda tanti telefilm e sono innamoratina di un ragazzo… mi serve l’anello perché noi a quest’età cerchiamo simboli per dimostrare al mondo che stiamo insieme anchesenonstiamoinsieme.”

Dialogo (mio): “Qualcosa di acciaio, perché sono allergica a tutto il resto. Ho visto quello in vetrina… ne ha due?”
Pensiero (suo): “Ma allora è vero. Ma senta non sa che non sono le donne che comprano gli anelli di fidanzamento. Sei proprio una poraccia, ti sei messa con uno che se ne frega talmente tanto che manco muove le chiappe per andare a comprare un anello da 11 euro”

In tutto questo, ovviamente, Giorgia fa la parte della consulente. La mia amica. Probabilmente, nella testa della commessa, lei è quella che ha fatto incontrare me con lo sciagurato. Oppure, è quella che sopporta tutti i miei pianti perché lo sciagurato non si prende le sue responsabilità.

Tabatha

Non so se avete mai visto Tabatha mani di forbice.

È un programma di Real Time veramente assurdo, in cui tale Tabatha (che a prima vista sembra la sorella gemella della cantante P!nk.. ma a guardarla bene non c’entra un cacchio) gira l’america passando da un salone di parrucchieri all’altro.

Lei è la solita belva: la Gordon Ramsay del capello, vestita superfiga, non sorride e – per parafrasare mia madre – secondo me “piscia ghiaccioli” (no, scusate la volgarità) tant’è gelida.

Funziona così: lei arriva in un salone di hairstylist (diremmo un parucchiere, ma fa meno figo) che sta andando a scatafascio e che è gestito come un porcile/casino, prende il comando e crea il panico tra i dipendenti per un’intera settimana.

Il primo giorno trafuga il proprietario e lo obbliga a spiare di nascosto i propri dipendenti, tanto per dimostrare che quando il gatto non c’è i topi ballano e seiunpocodibuonononriescimancoacontrollareduedipendenti.

Finita quest’operazione, irrompe nel salone cazziando tutti e sbraitando contro l’inettitudine. Parucchieridimerda chenonsietealtro.

Poi, come se non bastasse, se ne va in giro per il salone valutando il grado di sporcizia (belle cose) e l’inettitudine degli hairstylist.

Al terzo giorno c’è sempre qualcuno che piange o ha una crisi isterica, ma il tutto poi termina con un rilancio del locale che manco Marchionne con la FIAT.

Ora.
Io dico, giusto perchè sono americani.

Ma voi ce la vedete la vostra parrucchiera a fare lo stesso?
Tipo la mia: “Tiziana mani di forbice”, che gira l’Italia con la sua divisa sfigatissima e le Rox fucsia ai piedi. Ultimo aggiornamento del repertorio tagli risalente al 1982.

Si prende male se non puó pettinarti con l’onda tipo Brenda di Beverly Hills 90210.

E poi. Tabatha è una maniaca dell’organizzazione e dell’efficienza. La mia parrucchiera ti dà appuntamento alle 15 e se hai fortuna ti lava alle 18. Roba che con una messa in piega ti fai un corso d’aggiornamento completo sui fattacci di chiunque nel giro di 40 km. È talmente poco puntuale che certa gente, per una permanente, ci sverna.
L’ultima volta che ci sono stata ci ho passato le ferie.

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